Michel Serres caratterizza il digitale come la terza rivoluzione soft nella storia dell’uomo, dopo la scrittura e la stampa. Non si tratta quindi di una rivoluzione industriale, come la macchina a vapore e l’elettricità, ma di una trasformazione epocale che riguarda direttamente gli esseri umani, le loro relazione reciproche ed il loro rapporto con la conoscenza.
Se la scrittura ha liberato la conoscenza da un rapporto diretto con la sua sorgente, rendendo visibile e condivisibile che la conoscenza è creata e ricreata ininterrottamente da ciascun essere umano, e la stampa la ha resa diffondibile e accessibile da ogni essere umano senza mediazioni istituzionali di alcun genere, il digitale elimina anche gli ultimi mediatori tra esseri umani e conoscenza.
Non è un caso, quindi, che anche il digitale, come scrittura e stampa, sia passato attraverso due fasi per dispiegare pienamente il suo carattere rivoluzionario. La scrittura ha liberato la conoscenza dal controllo che aveva su di essa chi la formulava, non nel momento in cui si sono proposti sistemi segnici per ‘pubblicare’ testi, ma quando questi sistemi erano utilizzabili su sistemi a fogli mobili (ad es.: i papiri) che chiunque poteva acquisire e riempire di caratteri. La stampa ha liberato l’uomo dal rapporto con le istituzioni per accedere al sapere scritto (nelle biblioteche, nelle chiese, ecc.) non nel momento in cui si sono cominciati a stampare libri in folio, che ampliavano il numero di biblioteche che si potevano creare, ma quando Aldo Manuzio creava il primo libro tascabile, e quindi acquistabile dai singoli per uso personale. Nello stesso modo, la rivoluzione digitale ha davvero inizio non con l’avvento dei primi computer, o con la loro diffusione nelle imprese e neanche con la creazione dei primi personal computer, ma con l’avvento del Macintosh nel 1984, che ha proposto la prima macchina universale usabile da tutta l’umanità, senza bisogno di corsi di addestramento.
Da quel momento, tutti i personal computer si sono uniformati all’interfaccia del Macintosh e sono apparsi più tardi gli smartphone e i tablet, che, tutti insieme, costituiscono un insieme di device per l’accesso al digitale in ogni situazione e da ogni posizione.
Questi device rendono possibile un accesso diretto al digitale e all’immensa quantità di conoscenza che vi è distribuita. Questa disponibilità è insieme una grandiosa opportunità ed una minaccia, perché libera da condizionamenti espliciti (da parte di esperti, istituzioni, giornali. imprese culturali, ecc.) ma rende subalterni a condizionamenti impliciti (esercitati da chi opera nella rete) e può lasciare inermi di fronte a saperi altamente complessi e specialistici. Nella rivoluzione digitale, infatti, viene fortemente marginalizzato il ruolo di chi sa (docenti, ricercatori, esperti,…) facendo così perdere alla trasmissione del sapere la sua struttura tipicamente gerarchica e basata sulla cooptazione però si rischia anche che le nuove generazioni rimangano a livelli molto alti di superficialità nel loro sapere.
Questo rischio che non viene evitato quando si accede al web per formarsi un’opinione, è invece minore quando si accede ad esso lavorando in gruppo alla realizzazione di un progetto, perché in questo caso il gruppo stesso funziona da mediatore e filtro nell’acquisizione del sapere. Anche in questi casi, comunque, per l’acquisizione di saperi altamente complessi o specialistici, è necessario che nel gruppo vi siano delle persone dotate di alta cultura e/o specializzazione per facilitare la acquisizione di quei saperi in modo adeguato.
E’ chiaro che la rivoluzione digitale ha un impatto anche sul terreno della partecipazione politica, dove può lasciare i cittadini indifesi di fronte a chi gestisce i processi decisionali.
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